Horse Lake  

 

Diario British Columbia

 
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BRITISH COLUMBIA

 

7 Agosto ’05:     

Milano -> Vancouver (B.C.)

Vacanze!!! Riposo??
Malpensa-Amsterdam-Minneapolis-Vancouver ( 20 ore di viaggio!!)
Come vedete il percorso è ad ostacoli, e non lo consiglieremmo al peggior nemico, ma non avevamo molta scelta avendo, quest’anno, prenotato il volo molto tardi.

Ci sciroppiamo l’immigration negli USA (sebbene in solo transito) con fotografia, impronte digitali e terzo grado. Questa è pura routine, ma capiamo subito dalle domande che  è anomalo che noi si viaggi per puro svago, soli soletti e al di fuori degli schemi organizzati... ma soprattutto: - cosa ci sarà mai nel nord della British Columbia che valga tanta fatica? Guardate che i turisti solitamente vanno nella zona dei parchi nazionali più a est! – ... per l’appunto!

Arrivando così tardi a Vancouver abbiamo scelto un hotel vicino all’aereoporto, raggiungibile con uno free shuttle, e l’automobile ce l’andiamo a ritirare l’indomani mattina con calma.

8 Agosto ’05:

Vancouver (Tsawassen) -> Nanaimo (Duke Point) in traghetto

La mattina è riservata ai rifornimenti: vettovaglie ed attrezzature varie. “Canadian Tires” è una catena molto diffusa e provvista di ogni ben di Dio necessario ad un campeggiatore.

Molto in anticipo rispetto ai ns. intendimenti iniziali (è circa mezzogiorno) ci dirigiamo a Tsawassen, il porto da cui partono i traghetti. Destinazione Duke Point – Nanaimo, isola di Vancouver. Le code all’imbarcadero sono lunghissime e sconfortanti. C’è chi durante l’attesa fa la griglia mista, chi gioca a baseball: un vero accampamento. Riusciamo ad imbarcarci solo alle 15.15 pm, cioè come previsto, quando oramai credevamo che saremmo invecchiati giocando a baseball con i vicini d’auto!
E’ la primissima volta in vita ns. che prendiamo un Ferry con la ns. auto ed è eccitante salire sulla rampa. Ma appena sistemata l’auto ci fiondiamo sul ponte più alto per goderci il panorama al momento in cui vengono sciolte le cime con il fatidico fischio strombazzante che ti assorda, ma fa tanto “Love Boat”. Le due ore di mare successive, costeggiando la Vancouver Island, valgono la pena, e anche se lungo costa, è pur sempre il ns. primo assaggio di Oceano Pacifico! Ale ci si vorrebbe tuffare per poter dire di averlo toccato. Rimaniamo un pò delusi dal non vedere nessun animale: ma che sciocchi, ci aspettavamo stessero tutti lì concentrati a salutare con la pinna?!

Arrivati al porto di  Nanaimo ci dirigiamo verso la cittadina. Dobbiamo trovare un buon posto dove accamparci questa notte, ma abbiamo già quello che ci sembra un buon indirizzo: un campeggio con le piazzole nel verde vicino al mare, non costoso ma organizzato. Prima che venga buio è meglio montare la tenda e cenare. Ci scegliamo una piazzola a picco sulla baia, relativamente isolata ed i vicini più prossimi sono una famigliola tranquilla. Peccato che in tarda serata la spiaggia sottostante al nostro dirupo venga popolata da una masnada di ragazzotti e ragazzotte nel pieno di una tempesta ormonale e che, complice anche il falò, sono imbriaghi spolpi. Non sono diventata vecchia rimba, è ovvio che si divertono... mi giro e stordita dal fuso orario dormo della grossa! Ma mentre io ronfo, qualcunaltro veglia e ...ed all’improvviso alle due di notte esce esasperato dalla tenda, esprime il meglio del suo inglese urlando la sua insonne frustazione nella notte, concludendo con un irripetibile improperio tipicamente italiano, tanto per sottolineare, se ce ne fosse stato bisogno, che era meglio che la smettessero immediatamente. Risultato? Subitaneo silenzio assoluto, lui dorme e io veglio! Quando si dice un pò per uno ...

9 Agosto ’05:

Nanaimo -> Port Alberni

Colazione, doccia calda, smonta tutto e via! Alla scoperta di Nanaimo. In realtà è una cittadina dall’aspetto abbastanza moderno, con una bella baia, con certe barchette che ci sembra di stare a Monaco o a  Nizza.... speriamo non sia tutta così l’isola. Decidiamo di visitare l’unico baluardo di storia rimasto: ------ La visita è interessante, e ci impressiona non poco vedere con quante poche cose imballate in barili di legno gli emigranti britannici si lanciassero in questa avventura colonizzatrice.
Lasciamo Nanaimo, dopo aver “svaligiato” un intero ufficio postale, e ci dirigiamo ad ovest verso Port Alberni. Ad ora di pranzo siamo all’altezza del Mc Millan Provincial Park. Breve pick-nic sul cofano dell’auto e ci tuffiamo alla scoperta di questa millenaria foresta di Douglas e Cedri. Che imponenza! Vere e proprie cattedrali verdi. Esistono davvero come nelle favole quei tronchi avvolgenti dove ti puoi nascondere nelle cavità senza essere uno gnomo! Nel pomeriggio proseguiamo per Port Alberni. E’ una cittadina di medie dimensioni, con un importante porto fluviale. I ns. progetti sono di campeggiare all’interno dello Stamp River Provincial Park, vicinissimi alla “fish ladder” per ammirare la risalita dei salmoni. Il parco è spartano e senza servizi (solo puzzolenti pit toilet), ma otteniamo una vantaggiosissima piazzola a bordo torrente, da cui potremo ammirare i salmoni già da dentro la ns. tenda. Ma con grandissima frustrazione apprendiamo che a causa del freddo protratto i salmoni devono ancora arrivare in questa zona, e rimaniamo con un palmo di naso ed un torrente vuoto dove non si degna di passare neanche una scardoletta! Non ci resta che ripercorrere a ritroso i km. che ci separano da Port Alberni ed andare a farci una birretta per tirarci su il morale.

10 Agosto ’05:

Port Alberni -> Ucluelet

Al mattino, dopo aver fatto colazione tagliamo la corda e decidiamo di tentare la fortuna per vedere i salmoni andando alla Robertson Creek Hatchery, dove i ranger all’interno di un programma provinciale, li allevano e li immettono in libertà. Ci terrorizzano subito chiedendoci di stare molto attenti agli orsi... ma quali orsi, qui quasi non ci sono i salmoni!!  Però “un paio” di pesciotti in un vascone li possiamo vedere, e perlomeno recuperiamo del materiale informativo sui salmoni e su come sarebbero se ve ne fossero molti in libertà.
Proseguiamo l’attraversata dell’isola per raggiungere Ucluelet, lungo una strada che costeggia il greto di un torrente, quando Ale inchioda l’auto all’improvviso, gridando: - mi semblava di avele visto un orso!! – ma è vero! Protetti dalla boscaglia che costeggia il torrente ci acquattiamo in silenzio assoluto per vedere e fotografare. Accipicchia non ho l’obbiettivo giusto montato sulla macchina fotografica, ma se torno in auto ed armeggio, quello nel frattempo scappa!! E’ un cucciolotto di orso bruno che se ne va ciondolante a passeggio sul greto del torrente. E’ bellissimo, grande,  col pelo vaporoso, e guarda che testone, sembra un peluche! Ci percepisce, si ferma ed annusa l’aria. Sembra tranquillo e per niente disgustato dalla nostra presenza, riprende il suo ciondolante passeggio. Vorrei telefonare al mondo e gridare a tutti: io ho visto un orso, e non ero neanche allo zoo! Che emozione, che gioia immensa. Valeva la pena venire fin qua. Accipicchia se valeva la pena. Avvistato l’orso, il nostro prossimo obbiettivo sono le balene.
Galvanizzati dall’incontro completiamo il viaggio fino ad Ucluelet dove iniziamo la lunga ricerca di un campeggio dove pernottare. Si comprende subito che è dura: il luogo è molto turistico e completamente prenotato. I campeggi sono squallidi all’inverosimile e le piazzole ricoperte di motta, quando non vere e proprie sabbie mobili. D’altro canto siamo sulla costa ovest dell’isola, e l’influenza del mare aperto si fa sentire, eccome! Rassegnati e infreddoliti dalla bruma umida che ingurgita ogni cosa, scegliamo il campeggio che ci sembra meno peggio, e che almeno ci fornisce docce calde a pagamento. Ma siamo venuti fin qua per vedere le balene, e quindi non ci facciamo pregare: prese informazioni sulle varie opportunità, scegliamo di uscire in mare aperto al tramonto con uno Zodiac (gommone con fondo piatto e rigido). Ed eccoci, imbacuccati con delle tute da astronauta arancioni, che impediscono ogni movimento, dentro a cui cerco di nascondere la macchina fotografica per ripararla dall’umidità e dalla salsedine. Come canguri di mare, sobbalzando prendiamo il largo. Dopo un’oretta di mare ecco il primo avvistamento: la balena grigia. Spegniamo il motore e ci lasciamo cullare dalle onde. Silenzio assoluto. Sciabordio dell’acqua sotto la chiglia del gommone. Tensione alle stelle. E poi ecco, affiora un lunghissimo isolotto grigio maculato, un soffio, uno sbuffo di acqua. Alito fetido. E’ un dorso di balena, ed è incredibilemnte vicina a noi. Cavolo ci sembra di poterla toccare! Emozione e silenzio, non si fiata. Ce ne sono molte e placide nuotano dalla profondità alla superficie, per filtrare l’acqua e poi riimmergersi subito. Una pinna dorsale. Un muso. Un dorso. Che tranquillità e che vibrante emozione. Siamo a pochi metri dalla balena grigia, 15 mtr di possenza, 27 tonnellate in guizzante movimento, e proviamo solo fascino ed ammirata attenzione. Dopo molto salutiamo questa meraviglia della natura e ci allontaniamo verso il largo in direzione del Berkley Sound alla ricerca della balenottera azzurra. Colore grigino ardesia, 30 mtr di lunghezza ed un peso variabile tra le 90 e le 130 tonnellate. Eccola, tre sbuffi d’acqua consecutivi e dopo 5 minuti di orologio la vera immersione: la signora ci mostra la coda in tutto il suo splendore e ci mozza il fiato per l’emozione. Si sprecano gli scatti nel nebbioso silenzio assoluto. A chiusura della gita ci dirigiamo verso degli affioramenti e isolotti conosciuti per i leoni di mare che vi prendono il sole. Simpatici salsicciotti baffuti di colore caramello che ci danno un simpatico benvenuto con tuffi in acqua e versi fortissimi che stordiscono. - Ale, ma come li imiti bene?! – Sono veramente teneri, ed anche qui gli scatti si sprecano. Nostro malgrado dobbiamo avviarci al rientro, quando - ma che fortuna! - una megattera in lontananza si fa notare per i suoi imponenti balzi fuori dall’acqua. Ci avviciniamo a prudente distanza e con le dita incrociate attendiamo che ci saluti con un ultimo imponente e agile balzo fuori dall’aqua: sembra di stare in un documentario di Quark! E’ un attimo, il tempo di uno scatto solamente, con il gommone che sobbalza a più non posso, e non ho nemmeno l’autofocus... solo in questi rari casi apprezzo la tecnologia moderna... Ma se pensate che nell’attimo clue del salto la videocamera di Ale si spegne per esaurimento della batteria ... tutto sommato forse alle volte è più sicura la tecnologia meccanica!!
Che pomeriggio ragazzi!! Siamo galvanizzati dall’avventura vissuta, e pensiamo concordi che le sorti del viaggio volgono al meglio. Se il prezzo da pagare per vivere questi attimi di meravigliosa estasi è stare in mezzo a qualche tusista di troppo, bè una volta nella vita si può anche fare.

11 Agosto ’05:

Ucluelet -> Campbell River

Svegliarsi e fare colazione alla mattina presto in mezzo alla bruma fredda che sale dal mare e tutto avvolge è davvero crudele, attorniati da una masnada di corvacci che si vorrebbero contendere la nostra colazione e gracchiano in continuazione – fanno molto capitan Cook. Che spettacolo sul porticciolo la nuvolaglia bassa che si inghiotte i pescherecci all’ancora. Gettiamo velocemente tutto nel bagagliaio, tranne la tenda che è completamente zuppa e va stesa ad asciugarsi sul sedile posteriore, assieme ai sacchi a pelo. Prima di lasciare la zona facciamo una capatina al West Coast Pacific Rim National Park. La bruma si sta velocemente sollevando, ma rimane un tempo grigio e malinconico: come ha detto ieri il Capitano qui il mese di August viene chiamato “fog-aust”!! Lo spettacolo maggiore lungo questa lingua di mare purtroppo si ha nel momento della bassa marea, con un ritiro vertiginoso delle acque, che lasciano sulla spiaggia magiche sorprese tutte da scorpire: stelle di mare, etc... Purtroppo la bassa marea oggi sarà tardissimo, a metà giornata e noi non la possiamo aspettare, perchè ci attende un lungo trasferimento. Ale può finalmente toccare con mano l’oceano Pacifico ed il momento va ovviamente immortalato. Dopo una breve passeggiata, ci allontaniamo con rammarico.
La giornata scorre veloce senza accadimenti degni di nota. Uno shock questo piattume dopo l’adrenalinica giornata di ieri! Ne approfittiamo per fare la spesa e strada facendo, storditi ed ammaliati oramai da ipermercati fornitissimi, ci compriamo due meravigliose poltrone pieghevoli ed un fornello da campeggio piatto. Ci credete che non si trova una bacinella di plastica per lavare i piatti? (Ma non sostenevamo la bellezza del viaggiare spartano?)  Entro sera campeggiamo a Campbell River, dove saturi della turisticità dei luoghi, ci appartiamo in un campeggio immerso in una bella pineta e passeggiamo fino alle Elk Falls lì attigue, nella speranza, non più assurda, di incontrare un orso. L’orso non si fa vedere, ma in compenso nel campeggio scopro una splendida lavatrice con cui rassettare le nostre poche ed oramai puzzolentemente umide cose. La serata poi scorre tranquilla, chiaccherando con il proprietario del campeggio sulla possibilità di avvistare le aurore boreali a questa latitudine. Ah già, voi non lo sapete, ma siamo qui anche per questo, con uno zaino ricolmo di pellicole speciali, cacciatori di aurore, vorremmo poter fare invidia al ns. amico Mario.

12 Agosto ’05:

Campbell River -> Telegraph Cove

Quest’oggi abbiamo pochi km da percorrere fino a Telegraph Cove. Ma nutriamo grandi aspettative da questa località, un pò per il nome stesso della località, che ci sembra suggestivo, un pò perchè sarà la ns. base di partenza per esplorare lo stretto di Johnstone, dove, si dice, di questa stagione si accalchino letteralmente le orche assassine. Abbandonata l’autostrada, ci immettiamo su una stradina laterale interrotta a causa di un grosso tir per trasporto legname ribaltato sul bordo strada. Rimaniamo fermi un bel pò, fino a che i soccorritori non ci lasciano infine transitare. Siamo abbastanza impressionati dalle dimensioni spropositate di questi rimorchi, rispetto invece alle dimensioni delle strade. Proseguiamo fino a Telegraph Cove. La strada è sterrata ed in realtà gli unici insediamenti che incrociamo sono accampamenti di taglialegna e falegnamerie. Viaggiamo perennemente immersi nella nuvola di polvere che solleviamo. Per la prima volta vediamo con i nostri occhi il trasporto dei tronchi a mezzo mare/fiume in ammassi impressionanti di giganteschi tronchi legati gli uni  agli altri. Telegraph Cove è un piccolissimo insediamento, unico Board Walk Village sopravvissuto, con le tipiche costruzioni a palafitta sul mare collegate tutte da una lunga passerella in legno. Sarebbe di per sè suggestivo se...non fosse invaso letteralmente da turisti della pesca d’altura.  Abbiamo persino problemi a parcheggiare l’auto, da tanta è la congestione! Per prima cosa ci assicuriamo una piazzola nell’unico campeggio esistente: sottobosco di montagna ma al contempo vicino al mare: ve lo immaginate? Motta e pantano ovunque. Meglio andare al bagno in auto e scendere con lo scarpone! Nel pomeriggio usciamo in gita per cercare le orche, ma sin dal principio siamo perplessi: battello da un centinaio di persone. Ma non andiamo mica a fare una grigliata! Ci adattiamo controvoglia e ci sciroppiamo 5 ore di navigazione inutile e praticamente infruttuosa, non fosse per qualche aquila dalla testa bianca e dalle graziosissime focene che danzano sulla scia d’acqua frontale sollevata dal battello!! Il panorama senz’altro è affascinante e ci addentriamo fino alle coste del Robson Bight Nation Park. Torniamo al campeggio abbastanza scornati, ingurgitiamo qualcosa al volo e ci chiudiamo veloci in tenda con una borraccia di te bollente per trascorrere la notte.

13 Agosto ’05:

Telegraph Cove -> Port Hardy

Oggi è il grande giorno. Dobbiamo raggiungere Port Hardy all’estremo nord dell’isola, da dove questa sera ci imbarcheremo su di un postale. Trascorreremo a bordo due notti ed un giorno e sbarcheremo mezza costa a nord a Bella Coola. La giornata scorre lenta, nell’inutile ricerca di un venditore di gamberi freschi (ma non li dovevano vendere ovunque?). Addio grigliata! In sostituzione abbiamo invece acquistato delle strisce di salmone affumicato e caramellato, dolce tipico dei nativi. Ci concediamo un caffè al bar, una passeggiata sul lungo mare ed un pic-nic con pastasciutta al parco cittadino. Questi italiani si fanno sempre riconoscere: cucinerebbero la pasta ovunque! Se poi pensate che abbiamo anche steso la tenda sul prato affinchè si asciugasse, e abbiamo lavato i piatti al bagno pubblico ... Una buona cena a base di salmone al ristorante ci solleva il morale e siamo finalmente pronti ad imbarcarci. Memori dell’esperienza di Tsawassen, anche se ora abbiamo la prenotazione, ci rechiamo al porto molto presto e ci incolonniamo. Qui attendendo l’imbarco facciamo le prime conoscenze con i  futuri compagni di viaggio. Siamo un pò tesi per l’aspettativa. Infatti non ci sono cabine a bordo, solo poltrone allungabili ed i ponti. Per cui chi prima arriva, meglio alloggia! Pronti all’invasione, sacchi a pelo, materassini, cibarie e beuty alla mano andiamo all’assalto, freneticamente scegliamo un angolo di moquette nel salone che ci sembra sufficientemente confortevole e lo colonizziamo. C’è chi monta la tenda sul ponte esterno. L’idea è molto hippy, ma sinceramente di umidità ne abbiamo assorbita a sufficienza le scorse notti. Questa notte navigheremo lungo il Queen Charlotte Strait, fino al mare aperto, per poi entrare nei fiordi a mezza costa nord. Fermate previste: Namu, Klemtu, Ocean Falls, Bella Bella e Bella Coola. Sono tutti paesini popolati da nativi, e raggiungibili solo a mezzo mare. Ceniamo al self-service e poi a nanna. Saremo distesi per terra, ma almeno al caldo e all’asciutto!

14 Agosto ’05:

in navigazione

 Sveglia all’alba: qualcuno non stà più nella pelle dalla possibilità di vedere altre balene o magari le orche... Si dice che lungo lo stretto ve ne siano. Indugiamo davanti al piatto di pancetta e uova e poi fuori a scoprire la nave, su e giù per i ponti con i canocchiali e la macchina fotografica alla mano! Lo spettacolo è suggestivo, tutta la costa frastagliata rimane inghiottita dalla bruma. Solo boschi e spiaggette. Nessun insediamento, zero esseri umani, zero imbarcazioni. Un sogno. Il vento è freddo e penetra nelle ossa. L’umidità ti frusta la faccia e bagna ogni cosa sul suo cammino. Profumo di mare. La giornata trascorre lenta, tra un incontro e l’altro sui ponti della nave. Si scambiano idee sui programmi e percorsi dei prossimi giorni. Chi ti consiglia una strada, chi un’altra. Di avvistamenti zero, ed Ale è un pò nervoso. Ad ora di pranzo arriviamo a Klemtu, un delizioso villaggio indiano nascosto dentro una insenatura. Il nostro arrivo è salutato festosamente da un’aquila dalla testa bianca che sorvola ripetutamente la nave, e da alcune barchette di nativi che suonano il clacson dando il benvenuto agli amici e parenti che sbarcheranno a breve. Staremo fermi qui 3 ore e potremo scendere a terra con comodo. Moltissimi passeggeri pieni di bambini e fagotti si preparano alla discesa, sono arrivati. Pallet di pesce in scatola ed immondizie vengono invece imbarcati. Ma mentre noi scendiamo a terra, pronti a visitare il villagio, schiere di nativi sono pronti sul molo per salire a bordo! E’ bellissima questa pacifica invasione al contrario. E’ domenica, e questa nave attracca qui una volta alla settimana, ed è divenuta l’attrazione principale che scandisce lo scorrere delle settimane. Il self- service, il negozio di bordo, l’ufficio informazioni e la sala giochi  vengono presi d’assalto, mentre sui ponti delle navi coppiette di adolescenti passeggiano. Mentre noi a terra familiarizziamo con la maestra del villaggio, loro a bordo scoprono il nostro villaggio ambulante e felici si mangiano montagne di patatine fritte!! Rientrati a bordo abbiamo anche l’occasione di parlare con uno dei membri del Gran Consiglio del villagio che riunisce cinque diverse nazioni. E’ figlio del Grande Capo. Un ragazzo interessante, che mi spiega come è organizzata politicamente la sua gente. Come il Consiglio “consigli” ed il Grande Capo alla fine decida. La carica è ereditaria, ma da nonno a nipote. Estasiati da questa avventura che ha il sapore di altri tempi ci ritroviamo a salpare, nuovamente salutati da festosi nativi in barchetta, che ci navigano attorno e salutano strombazzando. Nel tardo pomeriggio Ale avvista delle bestiole guizzanti che nuotano in gruppo, ma veloci come la luce si allontanano, e non ci lasciano il gusto di poterle ammirarle. Ci prepariamo infine a trascorrere un’altra notte, questa volta in compagnia delle stelle. Ci siamo trasferiti sul ponte più alto della nave, e dormiremo sotto la cupola trasparente del solarium! Ale così potrà tenere d’occhio le aurore boreali senza dover uscire al freddo! Quassù si rolla che è un piacere: sembra proprio di stare in barca! Nella notte mi alzo perchè la nave fermerà a Ocean Falls, e gira voce che le cascate, visibili dalla nave, saranno illuminate dal faro della nave. Purtroppo non è vero, per raggiungere le cascate ci vuole un lungo trekking, ed a Ocean falls nel pieno della notte non si può scendere. Salgono però molte delle solite famigliole cariche di bimbi e fagotti.    

15 Agosto ’05:

arrivo a Bella Coola

L’arrivo è previsto  per le 7.00 a.m., per cui bisogna svegliarsi all’alba e prepararsi allo sbarco. Mi sento uno zombie. L’arrivo a Bella Coola è spettacolare: il villaggio è all’interno di un profondo fiordo, attorniato da alte montagne con ghiacciai. C’è un barlume di sole dietro alla oramai perenne foschia, che rende l’aria brillante e perlata. Sembra di stare nel mondo delle fiabe. Salutiamo i ns. amici e carichiamo l’automobile. Da quando ci siamo imbarcati stiamo finalmente viaggiando con persone locali, senza turismo straniero o di massa, ed abbiamo avuto l’occasione di incontrare persone interessanti. L’angolo di terra dove sbarchiamo fa parte della “frontiera”, è isolato, dimenticato,  e di conseguenza nutriamo molte aspettative da questa località. Appena sbarcati ci rechiamo all’ufficio informazioni: vorremmo sapere dov’è che possiamo vedere la risalita dei salmoni. Ora siamo molto più a nord dello Stamp River, e non vogliamo sentire storie sul caldo e sul freddo!! Ottenuta qualche dritta rassicurante, sentiamo la necessità di darci una rassettata, e, sebbene sia spuntato definitivamente un bel sole, propendiamo per prendere una stanza nel piccolo hotel cittadino. E’ una buona occasione  per stendere i sacchi a pelo al sole, fare una buona colazione e dormire in un buon letto dopo tanti giorni. Rinfrancati un attimo, andiamo subito alla caccia dei salmoni. Ci hanno indicato un torrente con una cascata vicino alle foci sul mare, e - ragazzi! Ci sono davvero!! – centinaia di bestioni da 20kg. l’uno che risalgono guizzanti la corrente del torrente fino alla pozza sotto la cascata. Dopo aver abituato l’occhio ci rendiamo conto di quanti salmoni zompano fuori dall’acqua nell’inutile tentativo di superare la cascata. Sbattono sulla roccia, sono risucchiati dai flutti. E’ uno spettacolo pieno di energia, speranza e dolore al contempo. La pozza è letteralmente annerita da gruppi fittissimi di pesci che hanno già localizzato un buon posto per depositare le uova, e lì rimangono a difenderle. Quegli elementi che invece non sono contenti dalla eccessiva concentrazione della concorrenza si estenuano nel tentativo di andare maggiormente a monte, in luoghi più isolati. Siamo letteralmente calamitati dalla potenza di ciò a cui assistiamo, e trascorriamo l’intera mattinata a fotografare questo spettacolo.
Nel pomeriggio decidiamo di perlustrare altri torrenti. Ci hanno detto che ogni corso d’acqua è buono, e ce ne sono davvero molti. Abbiamo così l’occasione di vedere altre fasi della risalita: quella finale. Scelto il luogo più adatto, una spanna d’acqua cristallina che scorre continuamente, i salmoni femmina si fermano e depositano le uova. Esausti muoiono. I maschi scelgono le uova da fecondare, e rimangono sul luogo lottando per proteggerle dalla fecondazione di altri maschi, fino alla morte. Si aggrediscono, si morsicano, e si danno violentissimi colpi di coda. E’ penoso vedere bestioni di quelle dimensioni, mezzi sbrindellati, mezzi fuori dall’acqua, che lottano fino alla morte. Da principio non riuscivamo a capire la dinamica di ciò a cui stavamo assistendo. Poi più tardi abbiamo scoperto e visitato un’altra Hatchery, dove un gentilissimo ranger ha risposto ai nostri quesiti per più di un’ora, mostrandoci fotografie ed i pesci nei vasconi. Forti di questa ulteriore  esperienza, abbiamo veramente finito di trascorrere il pomeriggio sul ponticello tifando per i nostri beniamini: i signori salmoni, augurando loro che la prole fosse numerosa e forte.

16 Agosto ’05:

Bella Coola -> Williams Lake

Dopo una lauta colazione a base di pancetta e uova, riprendiamo il nostro viaggio. Oggi dobbiamo superare “The Hill” lungo la Highway 20. L’unica strada esistente che unisce la valle di Bella Coola con Williams Lake è un iniziale sterrato di 57 km (ancora oggi?) costruito dagli abitanti stessi nel 1953 che supera l’Heckman’s Pass a 1524 mtr nel Tweedsmuir Provincial Park con il 18% di pendenza. Ci hanno tutti parlato con terrore di questo passo, difficile da superare, che mette alla prova i freni e la frizione del cambio automatico, dove può nevicare anche d’estate, che è pieno di terribili tornanti, etc... Affrontiamo la strada con un pò di apprensione dopo aver chiesto istruzioni sulla gestione delle marce corte del cambio automatico, pronti, se del caso, a fermarci per raffreddare il motore. Ebbene il passo lo abbiamo fatto ridendo e scherzando! E pensare che pioveva ed era salito anche un nebbione che copriva tutto. E’ una specie di larghissima autostrada di terra dura e perfettamente battuta, con una manciata di degnissimi ed ampi tornanti! Ma se vengono a guidare in Friuli V.G. in certi posti che so io, questi muoiono d’infarto! Ho capito che sono abituati a cacciare il bufalo nelle pianure sconfinate, ma sembra non abbiano mai visto una montagna in vita loro! E sì che di montagne ne hanno tante. Lo spettacolo comunque è stato molto bello, avanziamo immersi in un nuvolone bianco e ci sembra di salire all’Hymalaya. Raggiunto il passo, il panorama si trasforma: un immenso altopiano di montagna brulla. Questo è l’habitat ideale delle capre di montagna, quelle caprone grandi con il pelo lungo lungo fino a terra. Ma con questa pioggia  non possiamo fare il trekking desiderato a caccia di caproni, e rassegnati tiriamo avanti. L’altopiano è suggestivo, desolantemente deserto. Di quando in quando un lago di montagna con qualche isolato ranch: Anahim Lake, Tatla Lake, Nimpo Lake, Puntzi Lake. Questa è terra buona solo per allevare cavalli e mucche, con estensioni di prati sconfinati. I ranch sono segnalati dalla presenza dei tipici corral, e da quelle specie di archi fatti con pali di legno con sopra il tavellone con il nome del ranch. All’ora di pranzo attraversiamo un piccolo insediamento e ci fermiamo a pranzo. Una visita allo Store ci allarga il cuore: questa è la frontiera! Si vendono innumerevoli varietà di chiodi alla libbra, canapi, corde, guanti da lavoro, mazze, seghe e quant’altro. Le casacche a quadrettoni e le coperte patchwork! Scatolame, farina e zucchero sfusi. Che sogno mi sembra di essere in un film di Sergio Leone. La pioggia è battente ed incessante. Decidiamo nostro malgrado di proseguire. Nel tardo pomeriggio, giunti dopo circa 344 km ad Alexis Creek cerchiamo una soluzione per poterci fermare a dormire. Purtoppo l’unica locanda disponibile è una specie di costosissimo resort oldfashion, per ricchi cittadini che vogliano giocare al cow-boy nel weekend. Peccato che però accetti solo contanti. Raccolti tutti i dollari e gli euro di cui disponiamo, scopriamo che proseguiremo il viaggio in cerca di altra soluzione. Di certo non possiamo montare la tenda sotto l’acquazzone! Ale propone di tener duro fino a Williams Lake, qualora non si proponga una soluzione improvvisa strada facendo. Alla fine ce li facciamo tutti i 457 km che ci separano da Williams Lake. E’ oramai sera quando entriamo in una cittadina industriale ai piedi della valle, con semafori, strade asfaltate e segherie industriali. E’ come fare ritorno al futuro. A questo punto il primo motel che vediamo è nostro, Ale è sfinito dalla lunga guida sotto la pioggia continua. Non abbiamo nemmeno fame, ma preparo una minestra calda nella stanza del motel con il nostro magico fornello a gas, e ci buttiamo a letto. Peccato! Tutta la zona oggi attraversata sarebbe stata splendida con il sole, e sarebbe valsa la pena fermarsi un pò, e conoscere qualche cow-boy. Ma al tempo non si comanda. Buon riposo!

17 Agosto ’05:

Williams Lake -> Horse Lake

Dedichiamo la mattinata alla scoperta di Williams Lake. Siamo nel cuore della strada lungo cui si è sviluppata la corsa all’oro, e questa cittadina è particolarmente rinomata per gli allevamenti di cavalli e per l’annuale Stampeade (rodeo) che vi si tiene. Decidiamo di visitare il museo di storia locale. Ale ride tutto il tempo, perchè gli oggetti esposti hanno al massimo cent’anni e vorrebbe fuggire da quello che gli sembra il mercatino della domanica sui Navigli. Io invece sono abbastanza interessata: finimenti, le corone delle reginette suddivise per anno di assegnazione, cinturoni da cow-boy, l’abito del domatore di cavalli più famoso della storia canadese, speroni, revolver con calcio in avorio intagliato, fondine: ma è giovane e fantastica cultura locale!!
A questo punto voltiamo l’auto verso sud e riprende ufficialmente la via di rientro a Vancouver. Ma decidiamo di percorrere strade alternative. Ce ne andiamo infatti prima un pò verso nord-est passando da Big Lake fino a Likely. Cittadina mineraria, con un grosso ponte di legno e 4 case in croce. Proseguiamo su uno sterrato in mezzo ai boschi, costeggiando il torrente fino a Horsefly Lake, che come si evince dal nome è vicino ad un bel lago ed è famoso per la pesca. Ci prepariamo un bel pranzetto sul lago, prestando molta attenzione che gli odorini di pastasciutta non attirino orsacchiotti vari ... Riprendiamo il cammino verso 150 Mile House, antica stazione di posta che ha ancora mantenuto qualche costruzione di legno in stile far-west. Qui ci fermiamo in un negozietto di ceramiche in stile tradizionale in cui facciamo letteralmente man bassa. Il pomeriggio è ancora giovane e con calma proseguiamo sulla Highway 97 verso sud attraversando 108 Mile Ranch e 100 Mile House. Qui decidiamo di passare la notte, ma, dopo aver fatto la spesa, cerchiamo un posto un pò fuori mano. Ci indicano un campeggio sulle coste di Horse Lake, ad una ventina di km verso est, e lì ci dirigiamo. Otteniamo una piazzola che è direttamente sull’acqua ed a confine col bosco, e questo ci fa presagire una nottata difficile. Riceviamo un allegro benvenuto da uno stormo di anatre che scorazzano a piacimento nel nostro accampamento e non sembrano voler desistere. Il tramonto sul lago è molto suggestivo e noi decidiamo per un barbecue con 4 dita di bisteccone. Il fuochista si dà da fare, ma l’umido scende impietoso, la carne si cucina lenta, il buio oramai avanza, il freddo ben presto ci pietrifica. Quando il bisteccone è pronto è oramai buio, ed io ceno con cappello di lana in testa, battendo i denti e masticando carne fredda e fiele. Unica soluzione è gettare tutti i piatti sporchi in auto, fare un termos di tè bollente ed anche se è presto chiudersi nella tenda il più velocemente possibile. Oops!

"Caro, abbiamo lasciato il sacchetto di immondizie sulla panca! "

"Stai tranquilla, non siamo più in zona orsi. Domani la buttiamo. E poi il campeggio è recintato".

Avete presente le ultime parole famose?? Nel cuore della notte ci svegliamo con strani rumori di cartocci e sacchetti rimestati ed i cani del campeggio che abbaiano selvaggiamente. Un persistente frusciare fuori dalla nostra tenda.

"Ale, qualcosa si stà mangiando le nostre vettovaglie. Cosa sarà?"

"Adesso guardo. Mi sembra un grosso cane nero col pelo lungo che si mangia i resti della nostra bistecca."

Ziiiip ! (= cerniera chiusa in fretta)

"A ripensarci meglio sembra un lupo! "

In effetti, ci siamo riaddormentati cullati da un continuo, ma ora lontano, ululare di un branco di lupi, che probabilmente soddisfatto ringraziava la luna per la succulenta cena offertagli.

18 Agosto ’05:

Horse Lake -> Vancouver

Al mattino la nostra ‘monnezza era allegramente sparsa per tutto il campeggio, ed abbiamo affannosamente rincorso riconoscibilissimi cartocci di spaghetti ovunque, nel tentativo di non passare per i soliti italiani sozzoni!
La notte è stata delle più dure a causa dell’umidità che ci ha completamente inzuppati. Ma al risveglio, sul lungo lago, che spettacolo: una bruma bassa si rotolava veloce sull’acqua, nascondendo bagliori dorati di un pallido sole ancora nascosto. E le amiche anatre, ancora teneramente addormentate con il becco ed una zampa sotto l’ala, allineate ai margini dell’acquitrino. Il lento sciabordio delle lunghe onde. Che pace e che profumo verde.
Riprendiamo la via verso 100 Mile House per ritornare sulla Highway 97, quando incontriamo una specie di cerbiatto che saltella fuori dal bosco per brucare a lato strada. Bye-bye Horse Lake.
Riprendiamo la H97 in direzione Vancouver, percorrendo al contrario l’antica strada dell’oro. Oltrepassiamo Clinton, e deviamo sulla H99 verso Pavillion. Stiamo per abbandonare la regione del Cariboo-Chilcotin, ma c’è ancora qualche sorpresa che ci attende. La strada si restringe, e per un tratto costeggia le cave di marmo bianco candido: Marble Canyon, abbaglianti pareti bianche che si stagliano contro un cielo perfettamente blu. Ad ora di pranzo siamo a Seton Lake, uno spendido laghetto dagli abbacinanti colori verde smeraldo e turchese. Temerariamente decidiamo di pranzare, ma a quanto pare le api canadesi, se disdegnano la pastasciutta, adorano wurstel e ketchup! Ci risolviamo a mangiare correndo attorno al parcheggio col piatto in mano, nel tentativo vano di seminare queste accanite bestiole. In tutta fretta abbandoniamo Seton Lake e i suoi impertinenti abitanti e ci dirigiamo verso Lilloet. La strada si restinge ed entrando in un canyon il panorama diviene improvvisamente brullo e terroso. A fondo valle serpeggia lento un fiume dal color fango e noi dalla sommità ammiriamo le rotaie che si srotolano a strapiombo lungo il fianco del canyon. E’ quella mitica ferrovia rubata metro a metro alla natura con l’aiuto degli operai cinesi. Infine si raggiunge Lilloet, arroccata al di là del canyon. Bisogna ttaraversare un alto ponte di ferro con vista sul porto fluviale di legname. Ci concediamo una pausa caffè, in questa cittadina tutta di legno tipo far-west. Gli altri avventori del bar sono una sqadriglia di attempati easy-rider borchiati e tatuati che saltano sulle loro Harley e se ne vanno come il vento. Proseguiamo verso Whistler, dove prevediamo di pernottare. Whistler è rinomata stazione sciistica che sembra uscita da un depliant pubblicitario, attorniata da altissimi e candidi ghaicciai. Già a km di distanza villaggi di appartamenti tutti in legno chiaro stile montanaro annunciano l’avvicinarsi di questa località molto rinomata tra gli abitanti di Vancouver. Quando arriviamo (circa le 18.00 p.m.) l’ufficio turistico è chiuso. Non vi è modo di reperire informazioni in merito ai campeggi disponibili. Il bordo strada è una babele di cartelli pubblicitari. Decidiamo di percorrere ancora qualche km verso sud, nel tentativo di trovare un posto più tranquillo dove pernottare. Scelta che si verificherà errata.
Usciti da Whistler, la strada si stringe e diviene drammaticamente a picco sul percorso del fiume, costeggiando altissime e suggestive montagne innevate e ghiacciai rosati dal tramonto. Da qui a Vancouver, il fiume lascia terra e spazio sufficienti appena per la careggiata. Non vi sono campeggi, ne motel, nè paesini. Non possono esservi. Giusto un paio di frazioni arroccate sulla roccia. La discesa verso il mare è tortuosa di tornanti, ma sono alla fine 50 km. E così scioccamente ci sfianchiamo nella ricerca di un motel che non troveremo se non alle porte di Vancouver. E con un pò di rammarico perdiamo l’ultima occasione di sorvolare con un piper i ghiacciai canadesi.
Giungiamo alle porte di Vancouver e siamo sfiniti. Scegliamo un motel che ci sembra abbordabile e ci concediamo una super cena in uno splendido ristorantino lì nei paraggi. Abbiamo saltato un’altra tappa, ma cercheremo domani di trarne vantaggio per visitare fuori programma la città di Vancouver!

19 Agosto ’05:

Vancouver città

Rinfrancati non poco dalla notte trascorsa in un buon letto, al mattino organizziamo una visita alla città. Dopo aver visto frustati i nostri ultimi tentativi di un’uscita in barca per avvistare le orche assassine (... non le vedremo più... sigh!) propendiamo per una visita all’acquario ed all’immenso parco  che si trova proprio in centro città! Non siamo esperti di acquari. L’unico visto fin’ora è quello splendido di Cape Town (Sud Africa). L’esperienza sarà molto positiva e vi trascorreremo gran parte della giornata. Divertiti dai delfini, ammiriamo entusiasti i beluga. Sono dei grossi salsiccioni bianchi che sembrano fatti di Marshmellow, curiosoni e tenerissimi. Infine mi innamoro letteralmente dei castori, che se ne stanno in panciolle a galleggiare guardandoci sornioni.
E’ una bella giornata di sole, e trascorre serena, tra la visita all’acquarium, una passeggiata al parco, ed una visita random del centro cittadino in automobile. Nel pomeriggio raggiungiamo l’hotel che abbiamo prenotato vicino all’aereoporto. E’ giunto il momento di compattare gli zaini: domani mattina dobbiamo essere pronti a partire! Iniziare mettendo tutto sul letto, è davvero sconfortante. Ma quando alla fine si è riusciti a ri-insalsicciare tutto per benino, bè è un bel sollievo e ricomnicia il senso di relax.
A questo punto dovremmo cenare: Ale propone una gita a Seattle. Dice che siamo così vicini al confine che gli piacerebbe proprio tanto andarci a cena. Prese alcune informazioni scopriamo che il confine è vicino, ma Seattle no (3 ore) e pertanto ci tocca rinunciare. Propendiamo per una romantica gita a Steveston, villaggio di pescatori a sud di Richmond, con un bellissimo boardwalk di legno sul porto. Passeggiata, cenetta in una specie di pub che raccoglie tutta la gioventù locale, e poi a nanna!

20 Agosto ’05:

partenza

Questa mattina ci concediamo una dormita un pò più lunga del solito. Colazione. Riconsegna dell’auto. Si vola!
Addio British Columbia. Sei stata una vacanza diversa dalle nostre solite, abbastanza rilassata, lenta, facile, alla portata di tutti. Non c’è stata tutta quell’avventura che ci piace tanto. Ma è stata comunque interessante, con alcuni punti degni di nota. E poi, tornati in Italia, avremo modo di scoprire che non potremo dimenticare mai questa vacanza, per la meravigliosa  eredità che abbiamo portato a casa ... ... ...

     

 

 
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